Alla fine della parte più dinamica e “danzereccia” dei nostri incontri, torneremo a rilassarci compiendo insieme alcune meditazioni guidate su alcuni concetti chiave, espressi sotto forma di dicotomia o dualismo polare, come relazioni tra opposti antagonisti.
Rifletteremo sulla natura paradossale delle coppie dicotomiche, andando oltre la logica razionale, un po’ come quando nei koan zen in cui ci viene chiesto di produrre “il suono di una mano sola”.
« Se intraprendete lo studio di un kōan e vi ci dedicate senza interrompervi, scompariranno i vostri pensieri e svaniranno i bisogni dell’io. Un abisso privo di fondo vi si aprirà davanti e nessun appiglio sarà a portata della vostra mano e su nessun appoggio si potrà posare il vostro piede. La morte vi è di fronte mentre il vostro cuore è incendiato. Allora, improvvisamente sarete una sola cosa con il kōan e il corpo-mente si separerà. … Ciò è vedere la propria natura. »
(Hakuin, Orategama 遠羅天釜)
Il Koan e’ un termine proprio del buddismo zen per indicare una pratica meditativa consistente in una affermazione paradossale e quindi “risvegliare” una consapevolezza più profonda della mente logica.
La pratica del kōan consiste in un tema affidato dal maestro zen al discepolo cui chiede la soluzione. Quasi sempre, la soluzione NON e’ logica, e richiede di bypassare il raziocinio a favore dell’intuito. Un koan non può ricevere una risposta o essere compreso dall’intelletto, ma offre una chiave per attingere alla fonte della comprensione autentica o illuminazione. Tale fonte e’ Mu, o Nulla, la mente, tutte le cose e nessuna cosa.
Lo zen viene considerato una via molto pratica e diretta. Una cosa viene utilizzata perché funziona. Il ruolo di un koan “del risveglio” è precisamente dare scossone, o irrompere nella consapevolezza dualistica e concettuale, basata su un falso senso dell’io. In tal modo, la mente si apre alla verità fondamentale dell’universo, senza inizio né fine; ovvero, ci si risveglia alla propria natura suprema.
Il paradosso e’ il grimaldello di cui il koan si serve per scardinare la nostra mente razionale, per metterne a nudo i limiti, ponendola di fronte alla necessità’ di scegliere tra soluzioni di fatto impossibili, o trarre conseguenze assurde da premesse logiche.
Ovviamente, non intendo avere la pretesa di affrontare nei miei corsi un vero e proprio studio dei koan, ma solo di prenderne spunto rielaborando quanto di più utile il buddismo zen possa offrire ai fini della nostra disciplina (ovvero, la danza!)
Il koan non può essere compreso dall’intelletto tramite lo studio e la speculazione. Ecco perché si dice: “Il Buddha non ha teorie”. Bisogna sperimentare direttamente la verità da cui sorgono questi koan, e non soffermarsi semplicemente sulle teorie e le idee.
Dalla pratica del Koan prenderemo il metodo di indagine per “meditare” su alcune coppie di opposti polari, utili per comprendere alcuni concetti alla base del linguaggio coreutico (della danza), ad esempio: fluido-rigido, statico-dinamico, tensione-distensione, isolazione-integrazione (quest’ultimo fondamentale nello specifico della danza del ventre).
Ma oggetto di “Koan” possono essere anche riflessioni utili tratte dalla vita quotidiana, o da una notizia in televisione, o da un articolo scientifico su Focus. Può avere come spunto la tecnologia informatica, la fisica quantistica, la programmazione neurolinguistica, o qualunque altro elemento interessante di cui non potevano, ahimè, disporre nell’antico Giappone;)
Non importa l’assunto iniziale, quanto la capacita di meditare sulla sua natura paradossale andando oltre la logica e di usare il “pensiero laterale” sbrigliando intuizione e creatività.
[continua]
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I’ve been reading zen koans too, patlry for personal reasons and patlry practical one of the characters in the book I’m working on keeps trying to explain Zen to the protagonist, unsuccessfully. She can’t decide if she is just too stupid too understand or the Buddhist is just fucking with her.Thanks to your post, I am now enlightened.