Ma perché il metodo BellyZen© è… zen?
Una adeguata risposta “zen” potrebbe essere che la risposta non può essere spiegata a parole o compresa con la mente, ma solo… danzata.
Senz’altro alle spalle di questo metodo ci sono le mie personali esperienze frutto di almeno due decenni di sperimentazioni e ricerche in terre di confine tra danza, yoga, misticismo orientale ed esoterismo occidentale.
Ma soprattutto, ciò che fa la differenza è l’attitudine.
L’approccio “zen” va esattamente nella direzione opposta rispetto a quello tradizionalmente impartito nelle scuole di danza, cha muove dall’isolazione all’integrazione, dalle parti al tutto. Qui il movimento è inverso: dal tutto alle parti.
Solitamente si comincia con lo spiegare ogni singolo “pezzetto” di un passo, scomponendo il movimento, e ad assemblare faricosamente tutti questi pezzetti in un secondo momento. Ma la vera essenza della danza non risiede in questo sforzo meccanico, pur riconoscendo naturalmente la necessità di tecnica.
La vera arte nasce quando superiamo lo sforzo, per la mente conscia, di coordinare tutti questi frammenti in modo che non siano più soltanto un “frankenstein” mal ricucito di singole parti, ma un elegante flusso continuo. Perché la danza, la bellezza, la potenza di un movimento scaturiscono dal flusso, senza interruzioni. Come il calligrafo giapponese che dopo profonda meditazione e comtemplazione traccia infine il suo ideogramma sulla carta apparentemente di getto, senza mai staccare la mano dal foglio, in un unico, perfetto, sublime, irripetibile gesto.
Occorre PARTIRE DAL TUTTO, per poi focalizzare le singole parti. Nell’apprendere una nuova sequenza di movimento, piuttosto che focalizzarsi con la mente su un singolo pezzetto alla volta, è preferibile iniziare a muovere tutto il corpo all’unisono, in modo intuitivo, non importa se “sbagliato” (e’ naturale, all’inizio!), e poi raffinare il movimento portando il focus sulle singole parti.
Ciascun movimento è fatto dal corpo nella sua interezza. Occorre cominciare non dalla spiegazione (mentale), ma dall’azione per arrivare alla comprensione (intuitiva) del movimento: in altre parole, se vuoi sapere come si fa un passo prima comincia a muoverti, poi capirai! Naturalmente, io te lo spiegherò anche. Ti mostrerò la meccanica, e lo scomporrò sotto i tuoi occhi. Ma questo non sarà servito a niente, se non avrai iniziato a “comprendere mentre lo fai”.
Lo sforzo per noi occidentali sta proprio nell’abbandonare i nostri preconcetti, e lasciare che sia l’intero, e non la singola parte, a guidare le nostre percezioni. Non siamo un assemblaggio di parti, come vorrebbe la moderna medicina occidentale, ma un organismo unitario in costante interscambio con l’universo.
Non è verosimile curare un malessere o una tensione in un punto specifico del nostro corpo, accanendosi a considerarlo isolato dal resto. Più consono alla nostra vera essenza, ma più difficile da ottenere per la nostra mentalità, è invece lasciarsi andare, attendere che la tensione si risolva spontaneamente, lasciando fare al corpo nella sua interezza anziché concentrarsi sulla singola parte tesa.
Ugualmente, non è verosimile supporre di poter respirare profondamente se continuiamo a concentrarci sul torace. Si respira CON TUTTO IL CORPO.
Per dirlo con Masunaga (“Zen per immagini. Esercizi dei meridiani per una vita sana“), “I reali vantaggi delle tecniche respiratorie sono in genere fraintesi, perché la respirazione è di solito interpretata solo come assunzione di ossigeno e rilascio di anidride carbonica. I polmoni sono di gran lunga gli organi più efficienti per la respirazione, ma negli umani rimane ancora intatta la respirazione della pelle, una forma di respirazione più primitiva attraverso la superficie del corpo. Considerare la respirazione soltanto come una funzione specializzata dei polmoni è una concezione errata che viene dalla medicina occidentale, che pone eccessiva enfasi sulle caratteristiche anatomiche.”
In sostanza, focalizzare eccessivamente l’attenzione sui muscoli addominali rischia di creare tensione proprio alle pareti addominali, laddove si voleva ottenere una respirazione profonda.
Occorre concepire l’atto stesso di respirare come un interscambio energetico che coinvolge TUTTO il corpo, e che parte dal basso ventre. Il punto al centro della pancia (non del torace!) che spinge in fuori l’aria in tutte le direzioni è il punto focale del KI.
Questa concezione olistica della danza, che rifiuta l’idea di isolazione meccanica propugnando al suo posto quella di centralità del respiro, rappresenta il contributo di Suraya Hilal, straordinaria innovatrice che io paragono, nel mondo della danza orientale, a ciò che fu nel secolo scorso Marta Graham per la danza contemporanea: per me due meravigliose fonti di ispirazione.
La purezza e forza espressiva del movimento semplice, che si sviluppa in un unico respiro con le vibrazioni e gli accenti della musica, sono alla base di questa ricerca espressiva, stilistica, esistenziale.
La sincronizzazione dei movimenti non deve essere meccanica, controllata razionalmente, ma sorgere spontanea dal rapporto tra respiro e ritmo.
Una volta appresa una serie di movimenti separati, il respiro coordina tutti i singoli in un intero, ottenendo una sequenza fluida in un unico respiro.
Partire dal tutto.
Immergersi nel flusso.
Abbandonarsi.