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7/ Conclusioni: ventre ed emozioni

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Useremo il nostro ventre per attingere alle nostre energie più profonde e alle nostre risorse creative, alla Dea che dimora in noi. Il ventre per danzare, per amare, per pregare, per accogliere la vita
Il luogo del nostro corpo, e della nostra psiche, maggiormente carico di profonde e ancestrali valenze simboliche, religiose, magiche. Il più misterioso, adorato e bistrattato. Il ventre divino che partorisce l’universo, ma anche le viscere della terra che celano l’inferno, il luogo della vergogna e dell’ignominia, specie nel retaggio occidentale contemporaneo, che tende a condannare le pulsioni viscerali come “socialmente inappropriate”  e vede nella donna non il suo potere divino, ma quello destabilizzante e potenzialmente distruttivo.
Chi ci schernisce affermando che la donna “ragiona con l’utero” celebra senza saperlo la nostra gloria più grande! Sarebbe davvero un problema se la donna non lo facesse… Ma già il fatto stesso che tale espressione venga usata oggi come ingiuria, la dice lunga su come due millenni di monoteismo patriarcale abbia degradato, svilito e depredato nella nostra coscienza tutti i simboli della divinità femminile.

Anche il fatto che l’ideale estetico contemporaneo elogi il ventre piatto,  mascolino, “azzerato”  e’ un chiaro tentativo di negazione e annichilamento dell’identità femminile più profonda. E il fatto stesso che noi tutte, chi più chi meno, inconsapevolmente “ci caschiamo” (chi di noi non sogna una pancia piatta come quella delle modelle che vediamo in televisione?) ci mostra come tale condizionamento culturale ci abbia totalmente sconnesso da noi stesse.
Ebbene, e’ il caso di tornare alle origini, e riappropriarci delle antiche chiavi e dei simboli il cui significato e’ stato travisato, manipolato, obliato.
Ci tengo subito a precisare, con la massima fermezza: NON si tratta di una forma malcelata di femminismo. Niente di più lontano dal femminismo storico, che dai suoi assunti iniziali (la sacrosanta rivendicazione di estendere quegli insindacabili diritti civili che erano stati – e sono, purtroppo, ancora in molti casi – negati alle donne) si e’ trasformato oggi in una triste parodia che ne ha decretato la negazione e il fallimento, finendo per riaffermare quello stesso primato maschile che aveva giurato di abbattere. Obbligandoci tutte, più o meno consapevolmente,  ad adottare parametri, valori e riferimenti maschili per “primeggiare” in un società ancora fortemente competitiva, aggressiva, predatoria.
La cultura della Femminilità, invece, e’ tutt’altra cosa da tale femminismo travisato e snaturato; tende piuttosto a rifondare la visione della nostra realtà su parametri del tutto differenti: condivisione al posto di competizione, comprensione ed empatia in luogo di intolleranza e prepotenza.

Biologicamente, il ruolo femminile e’ quello di “accogliere”, in tutte le declinazioni simboliche e psicologiche correlate al concetto di accoglienza: comprendere, accettare, custodire, nutrire, generare. Provate a immaginare una società basata su questi valori: in cui il profitto non sia piu un obiettivo, e primeggiare non abbia alcun significato. In cui ognuno possa sentirsi “accolto”, e “nutrire” liberamente i propri talenti e le proprie aspirazioni. In cui le nostre emozioni viscerali siano non più oggetto di censura, ma la voce stessa della Dea in noi.

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6/ Riassumendo

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Preliminarmente alla danza vera e propria impareremo a “respirare” l’universo sbloccando la respirazione diaframmatica e addomino-ventrale, in luogo della respirazione con la parte alta del torace, che non e’ fisiologica. In pratica, impareremo ad ottenere una respirazione profonda con il ventre, espandendo il nostro KI e “srotolando” la linea di Kundalini lungo la colonna.

Nel ventre riattiveremo le nostre energie creative più profonde mediante opportune “sillabe seme” sonore, usando Mantra e KIAI. Solo a questo punto, passeremo alla vera e propria danza.

Le tecniche di danza sono, inizialmente, quelle base del Raqs Sharki, e prevedono, per il primo anno, i movimenti fondamentali di braccia, torso e bacino (l’otto orizzontale e verticale, il sole, la luna, il serpente, lo shimmy, il fiocchetto, maya) e i passi base per muoversi nello spazio (passo arabo, passo egiziano, passo del deserto, passo del cammello, sirtaki…)

Una volta appresa la grammatica di base, gradualmente si sposterà l’accento sull’interpretazione,  sull’espressione individuale, sull’improvvisazione. Mano a mano si inseriranno elementi “spuri”, con “irruzioni” che sconfineranno nell’ATS (American Tribal Style), le danze tribali, lo gnawa e le danze africane, ma anche la pizzica e taranta di casa nostra, in una personalissima rielaborazione in chiave magica e “misterica”.

Tecniche, ritmi e sonorità potranno un questa fase essere molto varie e svincolate da ogni genere di riferimento. Se lo si desidera, si potrà improvvisare sulle note del folclore arabo così come su un brano di hard rock. Ciò non ha alcuna importanza. E’ invece fondamentale l’interazione tra libera espressione individuale e condivisione con il gruppo.

Al termine della vera e propria sessione di danza, chiuderemo con alcune meditazioni guidate su “Koan“, che saranno poi anche oggetto di compiti a casa;)

Come già specificato, i concetti che qui ho preso a prestito dal buddismo zen e dall’aikido (“KI”, “KIAI”, “KOAN”) così come quelli mutuati dall’induismo (“Kundalini”, “Chakras”, “Mantra”) sono adattati alle mie esigenze di danzatrice, frutto di anni di sperimentazione da cui e’ scaturito il metodo che desidero condividere, in una chiave personalissima e con tecniche “spurie”.

Non me ne vogliano i puristi. Ho preso da ogni cosa ciò che può essere utile al mio scopo e che (soprattutto) può essere condiviso, con la speranza che altri dopo di me facciano altrettanto, contribuendo alla crescita di un metodo che alla fine non sarà più “mio”.

Tutti i raggi della ruota convergono allo stesso centro. Buona danza, e buona vita.

[continua]

5/ Koan e Paradosso

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Alla fine della parte più dinamica e “danzereccia” dei nostri incontri, torneremo a rilassarci compiendo insieme alcune meditazioni guidate su alcuni concetti chiave,  espressi sotto forma di dicotomia o dualismo polare, come relazioni tra opposti antagonisti.
Rifletteremo sulla natura paradossale delle coppie dicotomiche, andando oltre la logica razionale, un po’ come quando nei koan zen in cui ci viene chiesto di produrre “il suono di una mano sola”.

« Se intraprendete lo studio di un kōan e vi ci dedicate senza interrompervi, scompariranno i vostri pensieri e svaniranno i bisogni dell’io. Un abisso privo di fondo vi si aprirà davanti e nessun appiglio sarà a portata della vostra mano e su nessun appoggio si potrà posare il vostro piede. La morte vi è di fronte mentre il vostro cuore è incendiato. Allora, improvvisamente sarete una sola cosa con il kōan e il corpo-mente si separerà. … Ciò è vedere la propria natura. »
(Hakuin, Orategama 遠羅天釜)

Il Koan e’ un termine proprio del buddismo zen per indicare una pratica meditativa consistente in una affermazione paradossale e quindi “risvegliare” una consapevolezza più profonda della mente logica.

La pratica del kōan consiste in un tema affidato dal maestro zen al discepolo cui chiede la soluzione. Quasi sempre, la soluzione NON e’ logica, e richiede di bypassare il raziocinio a favore dell’intuito.  Un koan non può ricevere una risposta o essere compreso dall’intelletto, ma offre una chiave per attingere alla fonte della  comprensione autentica o illuminazione. Tale fonte e’ Mu, o Nulla,  la mente, tutte le cose e nessuna cosa.

Lo zen viene considerato una via molto pratica e diretta. Una cosa viene utilizzata perché funziona. Il ruolo di un koan “del risveglio” è precisamente dare scossone, o irrompere nella consapevolezza dualistica e concettuale, basata su un falso senso dell’io. In tal modo, la mente si apre alla verità fondamentale dell’universo, senza inizio né fine; ovvero, ci si risveglia alla propria natura suprema.

Il paradosso e’ il grimaldello di cui il koan si serve per scardinare la nostra mente razionale, per metterne a nudo i limiti, ponendola di fronte alla necessità’ di scegliere tra soluzioni di fatto impossibili, o trarre conseguenze assurde da premesse logiche.

Ovviamente, non intendo avere la pretesa di affrontare nei miei corsi un vero e proprio studio dei koan, ma solo di prenderne spunto rielaborando quanto di più utile il buddismo zen possa offrire ai fini della nostra disciplina (ovvero, la danza!)
Il koan non può essere compreso dall’intelletto tramite lo studio e la speculazione. Ecco perché si dice: “Il Buddha non ha teorie”. Bisogna sperimentare direttamente la verità da cui sorgono questi koan, e non soffermarsi semplicemente sulle teorie e le idee.

Dalla pratica del Koan prenderemo il metodo di indagine per “meditare” su alcune coppie di opposti polari, utili per comprendere alcuni concetti alla base del linguaggio coreutico (della danza), ad esempio: fluido-rigido, statico-dinamico, tensione-distensione, isolazione-integrazione (quest’ultimo fondamentale nello specifico della danza del ventre).

Ma oggetto di “Koan” possono essere anche riflessioni utili tratte dalla vita quotidiana, o da una notizia in televisione, o da un articolo scientifico su Focus. Può avere come spunto la tecnologia informatica, la fisica quantistica, la programmazione neurolinguistica, o qualunque altro elemento interessante di cui non potevano, ahimè, disporre nell’antico Giappone;)
Non importa l’assunto iniziale, quanto la capacita di meditare sulla sua natura paradossale andando oltre la logica e di usare il “pensiero laterale” sbrigliando intuizione e creatività.

[continua]

4/ Mantra, KIAI

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Mantra” e’ un termine sanscrito che indica una formula sacra indirizzata ad un divinità o una formula mistica o magica, una preghiera, un canto sacro o una pratica meditativa e religiosa. Si tratta di una breve formula spirituale che ha la capacita’ di trasformare la coscienza, il cui potere non risiede nel suo significato letterario (che anzi e’ il più delle volte incomprensibile) ma nel suo stesso suono.

Un Mantra è una combinazione di sillabe sacre che formano un nucleo di energia spirituale; il suo scopo è quello di fungere da magnete per attrarre le vibrazioni spirituali, o da lente per metterle a fuoco. Il Mantra ha anche una funzione calmante a livello mentale, ed è uno dei modi più semplici per manifestare la presenza del divino.

Un Mantra può essere intonato ad alta voce, sussurrato, mormorato o addirittura senza suono, recitato solo nella mente, nel silenzio della meditazione. Il suo canto attiva e accelera la forza creativa spirituale, promuovendo armonia in tutte le parti dell’essere umano. Chi lo canta viene gradualmente convertito in un centro vivente di vibrazione spirituale, sintonizzato con qualche altro centro di vibrazione infinitamente più potente, e tale energia può essere acquisita e diretta a beneficio di chi la usa e di altri.
Il simbolo perfetto dell’aspetto impersonale della natura divina, cioè la vibrazione più sottile, è la sillaba OM (AMEN in cristiano). Secondo le Upanishad, le antiche scritture dell’India, la dimora originale del Mantra era il Parma Akasha, o etere primordiale, l’eterno e immutabile substrato dell’universo da cui l’universo stesso è stato creato nell’emettere il primo suono, Vach. (Un simile resoconto si può trovare nel Vangelo di San Giovanni: «All’inizio era il Verbo…»).

La ripetizione del Mantra è una antica tecnica dinamica con la caratteristica di possedere un potere cumulabile, infatti più lo si ripete più esso affonda le proprie radici nella nostra coscienza.

Sempre il Mantra si accompagna al controllo della respirazione e a pratiche di visualizzazione, in cui viene immaginato risalire nel corpo lungo lo stesso percorso della Kundalini.

Ciascun Mantra ha un bija, un “seme di suono” che costituisce la sua essenza e gli conferisce il suo speciale potere. Così, nei nostri incontri impareremo a usare tali semi sonori e a liberarne l’energia creativa attraverso la ripetizione. I Mantra sono stati trasmessi di generazione in generazione, da Guru a discepoli, e in questo processo il potere dei Mantra è aumentato enormemente. Miliardi di ripetizioni da parte di innumerevoli devoti nel corso dei secoli hanno portato alla formazione di una vasta riserva di potere che aumenta la forza spirituale insita nei Mantra.

In un contesto culturale differente, ma che sento molto affine alla mia natura,  ho trovato analogie con il principio del KIAI, parola giapponese che indica una manifestazione dell’energia interna con un “suono che crea” . A questo scopo si utilizza il grido nella forma esteriore come modo di controllare il KI, come arte di dirigere le energie.
Il KIAI esprime un grido che rivela e manifesta quel principio orientale di unità ed armonia presente in ogni cosa. Fisicamente, esso permette di collegare, attraverso la cintura addominale, la forza delle masse muscolari che si trovano nella parte bassa con quelle della parte alta del corpo. Energicamente, rivela le vibrazioni dei Chakra.

A me piace molto concludere la prima parte della lezione, quella più meditativa, con un potente, sonoro, sferzante KIAI: un bel grido pieno di forza e di intenzione che “ruggisce” dal nostro basso ventre e ci energizza in vista della seconda parte, più dinamica, della lezione.

[continua]

3/ Respiro, mente, vita

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Il respiro è da sempre l’atto più importante che ogni essere vivente compie dalla sua nascita alla sua morte. Come un filo invisibile, il respiro lega indissolubilmente la nostra mente e il nostro corpo, ed è in grado di influenzare profondamente l’una e l’altro.
La respirazione rappresenta anche una delle migliori tecniche di concentrazione e meditazione. Spostare il proprio focus sul movimento ritmico del respiro aiuta a svuotare la mente, permettendo di raggiungere una maggiore concentrazione.

Una corretta respirazione può influire profondamente sul nostro stato d’animo. Nello stesso modo, lo stato d’animo determina il nostro modo di respirare.
Spesso non respiriamo correttamente a causa dello stile di vita moderno che adottiamo, pieno di stress, ansie e tensioni familiari e soprattutto lavorative. Queste ci inducono a respirare con la porzione superiore delle costole e a mantenere, per tutta la giornata, un blocco inspiratorio, non espellendo quasi mai l’aria in maniera completa. Così facendo, il diaframma rimane in basso, come bloccato, lasciando lavorare gli altri muscoli.

Molte volte ho avuto a che fare con donne che respiravano solo con la parte alta dei polmoni, facendo lavorare poco o nulla il diaframma. Questo modo di respirare “alto” è il responsabile di un processo di scarsa ossigenazione a livello generale dell’organismo che innesca l’iperventilazione, responsabile di svariate patologie. Occorre invece mobilitare il diaframma per ottenere una respirazione fisiologica profonda, diminuire le tensioni intercostali e rilassare l’addome.

A differenza di quello che potrebbe sembrare, la respirazione diaframmatica non è una stramba tecnica di rilassamento orientale, ma al contrario è utile per rieducare il nostro corpo a respirare nel modo in cui è stato “progettato”: con il diaframma.

Arrivare ad una respirazione diaframmatica, e poi a una respirazione addomino-ventrale profonda può richiedere un lungo processo per imparare non solo le tecniche giuste di respirazione, ma anche a non avere paura di “lasciarsi andare”. Tenere rigidi e immobili la pancia e il ventre, impedirsi di mobilizzarli, ha più spesso a che fare con una nostra precisa volontà inconscia di mantenere il controllo sulle nostre pulsioni “basse”. E’ una volontà radicata nella paura, che ha come conseguenza quella di avvizzire la fonte delle nostre energie, di irrigidire completamente ogni nostro impulso creativo e ogni slancio vitale.

Per sbloccare la tensione a livello addominale, ci aiuterà una pratica molto conosciuta nel buddismo e nell’induismo come vibrazione e intonazione dei mantra.

[continua]

2/ Chakras, Kundalini, KI

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Spendiamo ora qualche istante per comprendere meglio cosa sono i “chakra”, e per quale motivo sono così importanti nella nostra pratica  BellyZen©. Per fare questo, approfitterò di una parte del bellissimo articolo di Marika Suhayma, insegnante di danza del ventre ed esperta di Reiki, che mi propongo di ri-pubblicare integralmente in uno dei miei prossimi interventi:

“I chakra sono sette vortici di energia metafisica che derivano dall’antico sistema di cura indiano, che posiziona in sette centri principali il flusso delle energie invisibili. Solo il simbolo del collegamento tra la sfera fisica e spirituale, e quando tutti e sette sono in equilibrio, il corpo funziona perfettamente e a ritmo con lo spirito. Quando sono bloccati, possono creare delle disfunzioni emotive e fisiologiche. I sette chakra si trovano esattamente una linea immaginaria che attraversa il nostro corpo, dalla pelvi al collo (spina dorsale) e poi più su fin sopra la testa. Questa linea si chiama Kundalini. Nella tradizione indiana Kundalini è la Dea Serpente spesso raffigurata attorcigliata per tre volte e mezza intorno al chakra di base. Secondo la tradizione nella sua ascesa dei chakra Kundalini trafigge un chakra alla volta fino ad arrivare al chakra della corona, ed illuminare tutta la materia.”

Ebbene, il chakra Svadhisthana localizzato nel nostro basso ventre influenza la nostra emotività, la nostra sessualità, lo stato emozionale e l’esperienza psichica del sacro. E’ il chakra probabilmente più sollecitato con la danza del ventre, in quanto lo muoviamo per fare quasi tutti i passi di base: l’otto, il sole, la luna, il serpente, lo shimmy, il fiocchetto. Il disequilibrio di questo chakra porta a una eccessiva emotività, insicurezza, chiusura al mondo. La frase associata a questo chakra è “Io sento”.
Nel chakra Svadishtana risiede il nostro centro, ovvero il primo fulcro energetico che andremo a sollecitare. Nei nostri incontri, ciascuna di noi sarà invitata, con apposite tecniche, a individuare e scoprire da se’ tale centro, o “KI”, e a farlo “crescere” nel proprio corpo.
“KI” e’ semplicemente, per me, una definizione di comodo: la più sintetica e corretta di cui sono a conoscenza per definire quella corrente di energia sottile che fluisce tanto nel nostro corpo, quanto nell’universo.

Il termine cinese qi, in giapponese ki 気  e’ il nome dato all’energia “interna” del corpo umano nelle arti marziali, nella medicina tradizionale cinese e in molti altri aspetti della vita, dell’arte e della filosofia orientali.

Nella cultura tradizionale induista,  il termine con significato corrispondente è il vocabolo sanscrito “Prana”.
Nella cultura tradizionale occidentale, i termini corrispondenti sono il latino “Spiritus” e il greco πνευμα (Pneuma, il soffio vitale).
In un’ottica filosofica, potremmo parlare di Anima, di Microcosmo, di Coscienza, di Psiche oppure più concretamente di Personalità, Individualità, Carattere, Identità. Tutti questi concetti identificano un’unica energia che muove dall’interno del nostro corpo e gli permette di interagire con la realtà.

Una energia ancestrale, primordiale fonte di saggezza e armonia interiori, collegamento a tutti gli esseri precedenti e conseguenti, l’essenza, il seme, il germe, il nucleo dove si condensa il significato della vita.

Scegliete voi il contesto culturale che preferite.  A me piace chiamarlo “KI”, alla giapponese, perché e’ un contesto culturale in cui mi riconosco e in cui mi sento a mio agio. Ma qualunque nome voi scegliate, il concetto rimane lo stesso: affinché la nostra danza possa attingere liberamente alle nostre energie più creative occorre lasciare fluire tale flusso vitale dal centro,  mediante le tecniche di centratura cui abbiamo già accennato, ed espanderlo fuori dal corpo allargando il nostro campo energetico fino a “respirare” il ki (o lo spirito, o il prana, o la coscienza…) dell’universo intero.

[continua]

1/ “Centratura”

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Ogni sessione di BellyZen© inizia con esercizi di respirazione e meditazione.
E’ inutile iniziare a danzare, se il nostro corpo e’ irrequieto e la mente distratta. Prima di tutto, occorre imparare a “centrarsi”. Si, ma che vuol dire, e rispetto a cosa?

Sul piano intellettuale, significa sgomberare la mente dai pensieri “molesti”, che distolgono la nostra attenzione. Sembra facile, ma non lo e’ affatto. Supponiamo ad esempio di sentirci irrequiete durante la lezione perché ci tormenta il pensiero di dover fare la spesa, prima che chiudano i negozi. E’ già tardi, e sapete di avere i minuti contati. Vi rendete conto che questo pensiero vi distoglie: non riuscite a concentrarvi e vi sentite sempre più frustrate.
Avete un bel ripetervi: “non devo pensare alla spesa”. Più lo fate, meno riuscite a pensare ad altro. Ben presto il pensiero molesto invade tutta la vostra mente, e con esso vi assale la frustrazione. Più cercate di convincere la vostra mente razionale a NON pensare a qualcosa, più fissate la vostra attenzione proprio su quella cosa che volete evitare, nutrendola con la vostra energia.
NON e’ così che funziona. Non e’ impartendo un comando diretto alla vostra ragione, ma solo bypassando la mente conscia. Ci sono vari trucchetti per farlo. Ne impareremo qualcuno insieme, durante i nostri incontri.

Sul piano emozionale, “centratura” significa sgombrare il campo da tutte le emozioni che sottraggono energia e impulso alla nostra volontà. Anche in questo caso, l’appello diretto alla nostra coscienza sortisce l’effetto opposto. Imporsi di cancellare una emozione e’ praticamente impossibile; tentare di censurarla equivale infatti a fissarla. Piuttosto, proveremo insieme alcune tecniche per osservarla con calma e poi, delicatamente, “spostarla” su un altro obiettivo oppure “sgonfiarla” dentro di noi fino ad annichilirla. Con gentilezza. Con naturalezza. Con Zen.

Sul piano fisico, “centratura” significa trovare il proprio punto di equilibrio controllando una postura troppo sbilanciata (per effetto di cattive abitudini, tensione, stress: la nostra postura parla di noi più di mille analisi cliniche) e riportandoci “in asse”.
Ma dove si trova questo misterioso punto di equilibrio?
E qui viene il bello. In nessuno e’ localizzato con le stesse identiche coordinate, con esattezza matematica.

In via di principio generale, la danza orientale si sviluppa attorno a due principali “focus” o punti nodali da cui si irradia il movimento, come i due fuochi che disegnano la figura geometrica dell’ellisse. Il primo (tornerò a parlare del secondo più avanti) fondamentale fuoco della nostra ellisse attorno a cui ci “avvolgeremo” e’ localizzato nel ventre, sulla linea mediana (che biseca il busto longitudinalmente) in un punto preciso tra l’ombelico e il pube, in corrispondenza del chakra Svadisthana. Solo che quel “punto preciso” non e’ mai esattamente lo stesso. Anche nella stessa persona, può variare leggermente, e spostarsi di qualche millimetro per effetto di variazioni ormonali, o emozionali, o perfino ambientali (pressione atmosferica, altitudine, ecc). Insomma, almeno all’inizio dobbiamo abituarci ad effettuare la “centratura” il più spesso possibile, fino a che questo esercizio non svilupperà una sorta di attenzione automatica che non richiederà più il nostro controllo cosciente.

[continua]