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Bioenergetica/1

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“Siete il vostro corpo” (A. Lowen)

La bioenergetica, fondata in America negli anni cinquanta da Alexander Lowen, brillante allievo di Wilhem Reich, viene definita “una psicoterapia a mediazione corporea“: significa che pone al centro l’identità funzionale tra corpo e mente, partendo dal concetto di unitarietà della persona.
Secondo questa visione che intende lo psichico e il somatico come funzioni strettamente correlate alla funzione energetica globale, le tensioni muscolari rappresentano la controparte fisica di conflitti psichici che si sviluppano attraverso esperienze traumatiche infantili. I conflitti si strutturano nel corpo sotto forma di restrizione del respiro e limitazione della motilità,  si cronicizzano e diventando parte inconsapevole della struttura corporea e del modo di essere dell’individuo. 

La bioenergetica rappresenta un ponte fra la filosofia orientale e la psicologia occidentale. Parte dal presupposto che ogni individuo disponga di una energia vitale che consente l’interazione fra corpo e mente: e’ lo stesso concetto espresso in modo differente a seconda degli influssi culturali che ritroviamo nei Veda, nelle discipline del Sol Levante, nella Bibbia. Nella tradizione ebraica è il “Soffio Vitale” con cui Dio anima gli esseri umani dandogli vita e coscienza, in India la chiamano “Prana”, in Giappone “Ki”, in Cina “Qi”, in Polinesia e alle Hawaii “Mana”. Ippocrate la chiamava “Vis Mediatrix Naturae” e nell’antica Grecia di Galeno era “Pneuma”. Ermete Trismegisto la chiamò “Telesma”, l’alchimista Robert Fludd “Spiritus” e gli adepti della Kabala “Luce Astrale“. E ancora venne chiamata “Fluido Magnetico” da Mesmer e “Energia Orgonica” da Wilhelm Reich.  E’  l’anima della forza e dell’energia stessa, l’essenza di ogni movimento. È presente in tutto e penetra tutte le forme della materia, senza essere materia in sé. E’ è più concentrata in certi posti, come la cima delle montagne o le zone vicino ai fiumi, manifestandosi come maggior concentrazione di ioni negativi, mentre nei luoghi inquinati la si trova indebolita.

Tale energia si manifesta soprattutto nel radicamento o grounding, ossia la postura. Il termine “grounding” si può tradurre in italiano con l’espressione “essere sulle proprie gambe”, “avere i piedi per terra” e diventa uno degli obiettivi terapeutici fondamentali dell’Analisi Bioenergetica. Avere un buon grounding significa mantenere il contatto con la propria realtà esterna ed interna e con le proprie sensazioni, essere presenti a se stessi.
Cardine del grounding e’ la capacità di lasciarsi respirare liberamente, cercando di far scendere il proprio baricentro fino alla pancia, punto che gli orientali chiamano “hara“. 

Tutti gli esercizi della bioenergetica hanno lo scopo di far aumentare la sensazione di contatto con se stessi e con la realtà, di rendersi consapevoli dei propri movimenti in associazione alle emozioni, di ampliare la respirazione e migliorare la circolazione dell’energia nel corpo. Disponendo di maggiore energia, il soggetto comincia a tornare in contatto con le emozioni represse potendo così integrarle all’interno della propria personalità.

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“Una persona che non respira a fondo riduce la vita del corpo. Se non si muove liberamente, limita la vita del corpo. Se non sente pienamente, restringe la vita del corpo. E se reprime la propria autoespressione, limita la vita del corpo.” (A. Lowen)

6/ Riassumendo

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Preliminarmente alla danza vera e propria impareremo a “respirare” l’universo sbloccando la respirazione diaframmatica e addomino-ventrale, in luogo della respirazione con la parte alta del torace, che non e’ fisiologica. In pratica, impareremo ad ottenere una respirazione profonda con il ventre, espandendo il nostro KI e “srotolando” la linea di Kundalini lungo la colonna.

Nel ventre riattiveremo le nostre energie creative più profonde mediante opportune “sillabe seme” sonore, usando Mantra e KIAI. Solo a questo punto, passeremo alla vera e propria danza.

Le tecniche di danza sono, inizialmente, quelle base del Raqs Sharki, e prevedono, per il primo anno, i movimenti fondamentali di braccia, torso e bacino (l’otto orizzontale e verticale, il sole, la luna, il serpente, lo shimmy, il fiocchetto, maya) e i passi base per muoversi nello spazio (passo arabo, passo egiziano, passo del deserto, passo del cammello, sirtaki…)

Una volta appresa la grammatica di base, gradualmente si sposterà l’accento sull’interpretazione,  sull’espressione individuale, sull’improvvisazione. Mano a mano si inseriranno elementi “spuri”, con “irruzioni” che sconfineranno nell’ATS (American Tribal Style), le danze tribali, lo gnawa e le danze africane, ma anche la pizzica e taranta di casa nostra, in una personalissima rielaborazione in chiave magica e “misterica”.

Tecniche, ritmi e sonorità potranno un questa fase essere molto varie e svincolate da ogni genere di riferimento. Se lo si desidera, si potrà improvvisare sulle note del folclore arabo così come su un brano di hard rock. Ciò non ha alcuna importanza. E’ invece fondamentale l’interazione tra libera espressione individuale e condivisione con il gruppo.

Al termine della vera e propria sessione di danza, chiuderemo con alcune meditazioni guidate su “Koan“, che saranno poi anche oggetto di compiti a casa;)

Come già specificato, i concetti che qui ho preso a prestito dal buddismo zen e dall’aikido (“KI”, “KIAI”, “KOAN”) così come quelli mutuati dall’induismo (“Kundalini”, “Chakras”, “Mantra”) sono adattati alle mie esigenze di danzatrice, frutto di anni di sperimentazione da cui e’ scaturito il metodo che desidero condividere, in una chiave personalissima e con tecniche “spurie”.

Non me ne vogliano i puristi. Ho preso da ogni cosa ciò che può essere utile al mio scopo e che (soprattutto) può essere condiviso, con la speranza che altri dopo di me facciano altrettanto, contribuendo alla crescita di un metodo che alla fine non sarà più “mio”.

Tutti i raggi della ruota convergono allo stesso centro. Buona danza, e buona vita.

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4/ Mantra, KIAI

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Mantra” e’ un termine sanscrito che indica una formula sacra indirizzata ad un divinità o una formula mistica o magica, una preghiera, un canto sacro o una pratica meditativa e religiosa. Si tratta di una breve formula spirituale che ha la capacita’ di trasformare la coscienza, il cui potere non risiede nel suo significato letterario (che anzi e’ il più delle volte incomprensibile) ma nel suo stesso suono.

Un Mantra è una combinazione di sillabe sacre che formano un nucleo di energia spirituale; il suo scopo è quello di fungere da magnete per attrarre le vibrazioni spirituali, o da lente per metterle a fuoco. Il Mantra ha anche una funzione calmante a livello mentale, ed è uno dei modi più semplici per manifestare la presenza del divino.

Un Mantra può essere intonato ad alta voce, sussurrato, mormorato o addirittura senza suono, recitato solo nella mente, nel silenzio della meditazione. Il suo canto attiva e accelera la forza creativa spirituale, promuovendo armonia in tutte le parti dell’essere umano. Chi lo canta viene gradualmente convertito in un centro vivente di vibrazione spirituale, sintonizzato con qualche altro centro di vibrazione infinitamente più potente, e tale energia può essere acquisita e diretta a beneficio di chi la usa e di altri.
Il simbolo perfetto dell’aspetto impersonale della natura divina, cioè la vibrazione più sottile, è la sillaba OM (AMEN in cristiano). Secondo le Upanishad, le antiche scritture dell’India, la dimora originale del Mantra era il Parma Akasha, o etere primordiale, l’eterno e immutabile substrato dell’universo da cui l’universo stesso è stato creato nell’emettere il primo suono, Vach. (Un simile resoconto si può trovare nel Vangelo di San Giovanni: «All’inizio era il Verbo…»).

La ripetizione del Mantra è una antica tecnica dinamica con la caratteristica di possedere un potere cumulabile, infatti più lo si ripete più esso affonda le proprie radici nella nostra coscienza.

Sempre il Mantra si accompagna al controllo della respirazione e a pratiche di visualizzazione, in cui viene immaginato risalire nel corpo lungo lo stesso percorso della Kundalini.

Ciascun Mantra ha un bija, un “seme di suono” che costituisce la sua essenza e gli conferisce il suo speciale potere. Così, nei nostri incontri impareremo a usare tali semi sonori e a liberarne l’energia creativa attraverso la ripetizione. I Mantra sono stati trasmessi di generazione in generazione, da Guru a discepoli, e in questo processo il potere dei Mantra è aumentato enormemente. Miliardi di ripetizioni da parte di innumerevoli devoti nel corso dei secoli hanno portato alla formazione di una vasta riserva di potere che aumenta la forza spirituale insita nei Mantra.

In un contesto culturale differente, ma che sento molto affine alla mia natura,  ho trovato analogie con il principio del KIAI, parola giapponese che indica una manifestazione dell’energia interna con un “suono che crea” . A questo scopo si utilizza il grido nella forma esteriore come modo di controllare il KI, come arte di dirigere le energie.
Il KIAI esprime un grido che rivela e manifesta quel principio orientale di unità ed armonia presente in ogni cosa. Fisicamente, esso permette di collegare, attraverso la cintura addominale, la forza delle masse muscolari che si trovano nella parte bassa con quelle della parte alta del corpo. Energicamente, rivela le vibrazioni dei Chakra.

A me piace molto concludere la prima parte della lezione, quella più meditativa, con un potente, sonoro, sferzante KIAI: un bel grido pieno di forza e di intenzione che “ruggisce” dal nostro basso ventre e ci energizza in vista della seconda parte, più dinamica, della lezione.

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2/ Chakras, Kundalini, KI

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Spendiamo ora qualche istante per comprendere meglio cosa sono i “chakra”, e per quale motivo sono così importanti nella nostra pratica  BellyZen©. Per fare questo, approfitterò di una parte del bellissimo articolo di Marika Suhayma, insegnante di danza del ventre ed esperta di Reiki, che mi propongo di ri-pubblicare integralmente in uno dei miei prossimi interventi:

“I chakra sono sette vortici di energia metafisica che derivano dall’antico sistema di cura indiano, che posiziona in sette centri principali il flusso delle energie invisibili. Solo il simbolo del collegamento tra la sfera fisica e spirituale, e quando tutti e sette sono in equilibrio, il corpo funziona perfettamente e a ritmo con lo spirito. Quando sono bloccati, possono creare delle disfunzioni emotive e fisiologiche. I sette chakra si trovano esattamente una linea immaginaria che attraversa il nostro corpo, dalla pelvi al collo (spina dorsale) e poi più su fin sopra la testa. Questa linea si chiama Kundalini. Nella tradizione indiana Kundalini è la Dea Serpente spesso raffigurata attorcigliata per tre volte e mezza intorno al chakra di base. Secondo la tradizione nella sua ascesa dei chakra Kundalini trafigge un chakra alla volta fino ad arrivare al chakra della corona, ed illuminare tutta la materia.”

Ebbene, il chakra Svadhisthana localizzato nel nostro basso ventre influenza la nostra emotività, la nostra sessualità, lo stato emozionale e l’esperienza psichica del sacro. E’ il chakra probabilmente più sollecitato con la danza del ventre, in quanto lo muoviamo per fare quasi tutti i passi di base: l’otto, il sole, la luna, il serpente, lo shimmy, il fiocchetto. Il disequilibrio di questo chakra porta a una eccessiva emotività, insicurezza, chiusura al mondo. La frase associata a questo chakra è “Io sento”.
Nel chakra Svadishtana risiede il nostro centro, ovvero il primo fulcro energetico che andremo a sollecitare. Nei nostri incontri, ciascuna di noi sarà invitata, con apposite tecniche, a individuare e scoprire da se’ tale centro, o “KI”, e a farlo “crescere” nel proprio corpo.
“KI” e’ semplicemente, per me, una definizione di comodo: la più sintetica e corretta di cui sono a conoscenza per definire quella corrente di energia sottile che fluisce tanto nel nostro corpo, quanto nell’universo.

Il termine cinese qi, in giapponese ki 気  e’ il nome dato all’energia “interna” del corpo umano nelle arti marziali, nella medicina tradizionale cinese e in molti altri aspetti della vita, dell’arte e della filosofia orientali.

Nella cultura tradizionale induista,  il termine con significato corrispondente è il vocabolo sanscrito “Prana”.
Nella cultura tradizionale occidentale, i termini corrispondenti sono il latino “Spiritus” e il greco πνευμα (Pneuma, il soffio vitale).
In un’ottica filosofica, potremmo parlare di Anima, di Microcosmo, di Coscienza, di Psiche oppure più concretamente di Personalità, Individualità, Carattere, Identità. Tutti questi concetti identificano un’unica energia che muove dall’interno del nostro corpo e gli permette di interagire con la realtà.

Una energia ancestrale, primordiale fonte di saggezza e armonia interiori, collegamento a tutti gli esseri precedenti e conseguenti, l’essenza, il seme, il germe, il nucleo dove si condensa il significato della vita.

Scegliete voi il contesto culturale che preferite.  A me piace chiamarlo “KI”, alla giapponese, perché e’ un contesto culturale in cui mi riconosco e in cui mi sento a mio agio. Ma qualunque nome voi scegliate, il concetto rimane lo stesso: affinché la nostra danza possa attingere liberamente alle nostre energie più creative occorre lasciare fluire tale flusso vitale dal centro,  mediante le tecniche di centratura cui abbiamo già accennato, ed espanderlo fuori dal corpo allargando il nostro campo energetico fino a “respirare” il ki (o lo spirito, o il prana, o la coscienza…) dell’universo intero.

[continua]